lunedì 29 aprile 2013

UNA PATENTE PER VOTARE


 
Una Patente per votare?


Affiderei ad un costruttore principiante la realizzazione della mia casa, o mi preoccuperei di affidarla ad un costruttore che abbia una buona esperienza?
Se fossi ricoverato in un ospedale per una grave malattia e dovessero operarmi, vorrei che a fare l'intervento fosse un medico appena laureato che sta facendo tirocinio, o vorrei che lo facesse un chirurgo esperto, possibilmente con una lunga carriera ?
Le risposte sono talmente ovvie che mi sembra inutile dilungarmi.
Invece faccio una domanda a tutti coloro che, in questo momento storico della politica nel nostro Paese, vorrebbero risolvere i problemi mandando a riposo tutti i costruttori esperti e tutti i chirurghi con lunga carriera; indifferentemente che siano bravi o incapaci, onesti o corrotti, per affidare il futuro, già incerto, a dei principianti che dovrebbero essere più capaci.
La domanda:
se la Democrazia, malata, potesse scegliere da chi farsi curare, pensate che sceglierebbe dei principianti chirurghi per farsi operare su un organo del proprio corpo e poi degli apprendisti costruttori per riedificarsi?
Dalle risposte che mi sono dato, è nata una riflessione sull'origine della “malattia” della nostra democrazia.
La sorte del nostro futuro politico è affidata ai cittadini votanti. Sono loro che decidono chi deve curare il malato: lo dice la Costituzione.
Una parte di questi cittadini, quelli che non hanno un'idea precisa per il futuro del paese, scelgono volta per volta chirurgo e costruttore, spesso per un immediato tornaconto personale.
Secondo me, il problema nasce perché troppi cittadini non hanno una chiara cognizione di cosa è un Parlamento, di come si emana una legge o un decreto legge; non hanno conoscenza sulle funzioni dei vari organi che il costituente ha messo a salvaguardia della Democrazia.
Chi affida la costruzione della propria casa o un'operazione sul proprio corpo a dei principianti, senza la guida di un maestro, che futuro sceglie?
Ma allora, potrebbe chiedermi qualcuno, dove sta la soluzione?
Per costruire e mantenere sana una Democrazia, ci vogliono dei maestri che ne conoscono l'arte e degli allievi in grado di rubargliela, con l'ambizione e l'obiettivo di sostituirli in futuro.
La cosa più grave, a mio giudizio, è che la maggior parte dei cittadini non conosce la Costituzione: non l'ha mai letta almeno una volta e non ne conosce il fine, se non di qualche articolo, magari per sentito dire.
Tra questi ci sono anche persone con un alto grado di scolarizzazione: ottimi professionisti oltre che brave persone, ma pessimi cittadini.
Mi impensieriscono molto coloro che, pur conoscendo la Costituzione, remano contro; ma quelli che più mi preoccupano, per la sorte del nostro futuro, sono coloro che cercano il Pifferaio magico che risolva i problemi complessi di una società complicata come la nostra, ancora lontana dall'aspirare a diventare Civiltà.
 Sarebbe, forse, necessaria una PATENTE per votare?
                                                                                     Francesco Corradino

domenica 16 dicembre 2012

I DIRITTI DELL'UOMO e I DOVERI DEL CITTADINO



                I DIRITTI DELL'UOMO e I DOVERI DEL CITTADINO
                                    UN AUGURIO di BUONE FESTE

     Non riesco ad immergermi, come la maggior parte delle persone fa, in questo clima di festa religiosa in apparenza, ma spudoratamente molto commerciale nella sostanza.
Tutti, però, vorremmo far rinascere un Gesù Cristo che ci aiuti a risolvere i problemi: quelli dell'umanità intera e quelli nostri personali.
Il mio augurio è che Insieme a Gesù Cristo, vorrei che rinascesse la stima verso coloro che in nome di Cristo, o nello spirito di una civile convivenza fra gli uomini, hanno speso tutta o parte della loro esistenza perché questo si avverasse nei fatti e non solo nell'auspicio.
Spero che Mazzini mi perdoni per aver disturbato il suo sonno. Ma il suo pensiero è così attuale che mi nasce spontaneo il desiderio di farlo rivivere.
Le sue parole di un secolo e mezzo fa, scritte sotto forma di lettera, erano dirette ad un popolo che ancora non aveva una Patria unita in una Repubblica: un suo sogno, costatogli anni di prigione ed esilio.
Mi fa soffrire pensare che dopo 150 anni, alla Patria Italia manchi ancora l'anima come diceva Mazzini: lo spirito dei Doveri.
Quello che segue è solo un piccolo sunto della sua lettera al popolo, alla vigilia dell'unificazione, ma è sufficiente ad esprimere il suo pensiero sull'effetto benefico che il rispetto dei doveri produce per aver diritto ai diritti.

                                                    I DOVERI DELL'UOMO
L'avvenire, della Patria è vostro” così scriveva Giuseppe Mazzini, il 23 Aprile del 1860, “voi non lo fonderete se non liberandovi da due piaghe che oggi purtroppo, spero per breve tempo, contaminano le classi più agiate e minacciano di sviare il progresso Italiano: il Macchiavellismo e il Materialismo. Il primo, travestimento meschino della scienza d'un Grande infelice, v'allontana dall'amore e dall'adorazione schietta e lealmente audace della Verità; il secondo vi trascina inevitabilmente, con il culto degli interessi, all'egoismo ed all'anarchia...”

Oggi il Macchiavellismo lo applichiamo cercando l'uomo “forte” al posto del “giusto”, che ci risolva, oltre ai problemi della nazione, anche i problemi personali, mentre il Materialismo lo pratichiamo nel consumismo insostenibile che manda in crisi la società quando non può più consumare.

...La mia voce può apparirvi severa e troppo insistente a insegnarvi la necessità del sacrificio e della virtù per altrui. Ma io so, e voi, buoni e non guasti da una falsa scienza o dalla ricchezza, intenderete fra breve, che ogni vostro diritto non può essere frutto che d'un dovere compiuto. Io voglio parlarvi dei vostri doveri...”

La lettera era principalmente rivolta ai lavoratori e ai poveri. Li esortava prima ai doveri verso Dio, verso l'umanità, verso la Patria, verso la Famiglia; per costruire una civiltà dove Dio, l'Umanità, la Patria, la Famiglia, ognuno l'abbia dentro Se stesso, ognuno deve essere “coscienza” dell'umanità.

...Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? Perché, in una società dove tutti, volontariamente o involontariamente, v'opprimono, dove l'esercizio di tutti i diritti che appartengono all'uomo vi é costantemente rapito, dove tutte le infelicità sono per voi, e ciò che si chiama felicità é per gli uomini dell'altre classi, vi parlo io di sacrificio, e non di conquista, di virtù, di miglioramento morale, di educazione, e non di benessere materiale?
Siamo poveri, schiavi, infelici: parlateci di miglioramenti materiali, di libertà, di felicità. Diteci se siamo condannati a sempre soffrire o se dobbiamo alla nostra volta godere. Predicate il Dovere ai nostri padroni, alle classi che ci stanno sopra e che trattando noi come macchine, fanno monopolio dei beni che spettano a tutti. A noi, parlate di diritti
: parlate dei modi di rivendicarceli; parlate della nostra potenza. Lasciate che abbiamo esistenza riconosciuta; ci parlerete allora di doveri e di sacrificio...
Ciascun uomo prese cura dei propri diritti e del miglioramento della propria condizione senza cercare di provvedere all'altrui; e quando i propri diritti si trovarono in urto con quelli degli altri, fu guerra: guerra non di sangue, ma d'oro e d'insidie: guerra meno virile dell'altra, ma egualmente rovinosa: guerra accanita nella quale i forti schiacciano inesorabilmente i deboli o gl'inesperti. In questa guerra continua, gli uomini si educarono all'egoismo, e all'avidità dei beni materiali esclusivamente...
...Dopo avergli parlato per anni in nome degli interessi materiali, pretenderete ch'egli, trovando davanti a sé ricchezza e potenza, non stenda la mano ad afferrarle, anche a scapito de' suoi fratelli?.
E chi può, anche in una società costituita su basi più giuste che non le attuali, convincere un uomo fondato unicamente sulla teoria dei diritti, ch'egli ha da mantenersi sulla via comune e occuparsi di dare sviluppo al pensiero sociale? Ponete ch'ei si ribelli; ponete ch'egli si senta forte e vi dica: rompo il patto sociale: le mie tendenze, le mie facoltà mi chiamano altrove: ho diritto sacro, inviolabile, di svilupparle, e mi pongo in guerra contro tutti: quale risposta potrete voi dargli stando alla sua dottrina? che diritto avete voi, perché siete maggiorità, d'imporgli ubbidienza e lacci che non s'accordano con i suoi desideri, colle sue aspirazioni individuali? che diritto avete voi di punirlo quando lui le vìola? ...chiamati a godere e non altro, tentarono ognuno la propria via, non badando se camminando su quella non calpestassero le teste dei loro fratelli, fratelli di nome e nemici di fatto...”

Mazzini esorta a cercare Dio, la Patria, la Famiglia e l'Umanità dentro ogni individuo, per metterli in collaborazione con altri uomini per diventare gruppi, che diventano popoli, che diventano società e poi Civiltà.
l'Umanità conquista via via una nozione più chiara della propria vita, della propria missione, di Dio e della sua legge”.

Penso che Mazzini non si disturbi: sarebbe felice nell'apprendere che, grazie all'impegno di alcuni seguaci del suo pensiero e di quello di altri come lui, si è realizzato il suo sogno di Repubblica. Sarebbe, però, amareggiato nell'apprendere che nel 2012 ancora la maggior parte dei cittadini della Repubblica arraffano e difendono tutto quello che hanno, con qualsiasi mezzo, anche se ciò di cui si sono impossessati non gli spettava né per diritto acquisito e nemmeno perché se lo siano guadagnati lecitamente.

Mazzini pensando che la morte (non naturale) lo avrebbe potuto cogliere in qualsiasi istante, per mano di chi non voleva che nascesse la Repubblica, ma con il consenso di chi non voleva perdere nulla di quello che aveva guadagnato o arraffato con la monarchia, mentre era esule politico in Inghilterra, scriveva agli italiani questa lettera (circa quaranta pagine) firmandola così: Addio. Abbiatemi ora e sempre vostro fratello! Lettera nella quale esortava i cittadini ad adempiere i Doveri prima di pretendere i Diritti.

In queste “vigilie” di ricorrenze importanti, voglio augurare a tutti di poter fruire dei propri diritti. Aggiungo: Buone Feste!

                                                                                                           Francesco Corradino  

lunedì 17 settembre 2012

PIU' SANGUE PULITO NELLE ARTERIE DELLA DEMOCRAZIA



                    
    Ovvero: LA STORIA SI RIPETE COME LA RIVOLUZIONE DEI PIANETI

   Centocinquant'anni fa, mentre nel popolo francese fermentava la ribellione verso la monarchia che si preoccupava dei privilegi di pochi ricchi a danno di molti poveri, Victor Hugo pubblicava uno dei suoi eccellenti romanzi: Les Miserables (I Miserabili).
Quel fermento, nel popolo francese, produsse la prima Rivoluzione Francese, e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Nei successivi decenni, le altre rivoluzioni sfociarono in quel Quarantotto che provocò l'abbattimento delle monarchie di mezza Europa.

   Se nel passo che segue cambiassimo alcuni nomi citati da Hugo, con quelli di notissimi personaggi italiani contemporanei, si potrebbe pensare che questo articolo l'abbia scritto, nei giorni nostri, un giornalista o uno scrittore che è sdegnato per un generale atteggiamento di arrogante arrivismo diffuso in tutto il paese; esempio dato, soprattutto, da personaggi da noi innalzati ( con il consenso o col silenzio ) agli scanni più alti delle istituzioni, soprattutto della politica. Una politica che se ne infischia dei problemi del popolo, perché sa che la maggior parte dei cittadini sono come loro: pensano soltanto al proprio arrivismo e al bene personale.

                        Tratto dalla Prima Parte dei Miserabili (1862)
Viviamo in una triste società, nella quale ci piomba addosso goccia a goccia dalla corruzione un solo insegnamento: riuscire.
Diciamolo pure en passant: ciò che si chiama successo è cosa orrida per la sua falsa somiglianza con il merito, e inganna gli uomini. Per la folla, la riuscita ha quasi lo stesso aspetto della supremazia. Il successo questo sosia del talento inganna anche la storia. Giovenale e Tacito soltanto ne dubitavano. Ai nostri giorni una filosofia quasi ufficiale è entrata al servizio del successo, porta la sua livrea e ne sorveglia l'anticamera. La teoria è: riuscita. Prosperità presuppone capacità. Vincete un terno, passerete per uomo abile. Chi trionfa è venerato. Nascere con la camicia, qui sta il segreto. Abbiate fortuna, e dormite. Siate felici, e vi si crederà grandi. All'infuori di cinque o sei eccezioni immense che fanno luce di un secolo, l'ammirazione contemporanea non è altro che miopia. Si scambia l'orpello per oro. Essere il primo venuto non guasta: purché si sia arrivati. Il volgare è un vecchio Narciso che adora se stesso e applaude al volgare. Quella facoltà divina per la quale si è Mosè, Eschilo, Dante, Michelangelo, Napoleone, la moltitudine l'attribuisce di primo acchito e per acclamazione a chiunque arrivi al suo scopo in qualsiasi cosa. Che un notaio si trasformi in deputato, che un falso Corneille faccia un Tiridate, che un eunuco giunga a possedere un harem, che un Prudhomme militare vinca per caso una battaglia decisiva, che un farmacista inventi le suole di cartone per l'esercito di Sambreet-Meuse e si procuri con quel cartone venduto per cuoio quattrocentomila franchi di rendita; che un merciaio sposi l'usura e faccia partorire sette o otto milioni di cui lui è il padre e lei la madre, che un predicatore diventi vescovo per la sua voce nasale, che un maggiordomo di una casa nobile esca così ricco dal suo servizio che lo si faccia ministro delle finanze, gli uomini chiamano questo, Genio; come chiamano Bellezza la faccia di Mousqueton e Maestà il muso di Claudio.
Il mondo confonde le stelle disegnate dai piedi delle anatre sul fango con le vere stelle che brillano nella profondità del cielo...
Non era un commento al romanzo, ma una riflessione sul popolo dell'epoca.
   La storia dei popoli si ripete periodicamente come la rivoluzione dei pianeti, e genera altre rivoluzioni che servono a livellare le disparità che l'interesse privato, unito all'arrivismo e alla corruzione, produce a danno dell'interesse comune. Quindi, ad ogni epoca, sarebbero necessarie le ribellioni di massa. Ribellioni non necessariamente violente. Penso che nell'epoca in cui viviamo sarebbe possibile una rivoluzione democratica: basterebbe dare il nostro consenso (soprattutto quello elettorale) solo a chi non si è mai macchiato di ladrocinio e corruzione. Se questa possibilità ancora in futuro non ci venisse data, avrei un'altra idea: inserire all'interno della scheda elettorale (ma se ciò invalidasse il voto, consegnarlo al presidente del seggio ) un foglio con i nomi di corruttori e scippatori di popolo conosciuti personalmente o conclamati pubblicamente, invitandoli ad espatriare in un'isola senza Stato, dove si possano liberamente derubare, frodare e scannare tra loro. Un solo nome potrebbe apparire come una personale vendetta, ma se quel nome fosse ripetuto migliaia di volte, diventerebbe: Vox populi, vox Dei. E, per tornare alla storia, scriveva Catone qualche secolo a.c., più o meno così:”I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e nelle alte cariche”. La storia si ripete!
Ma le responsabilità non sono soltanto di chi amministra: senza una buona educazione civica non è possibile una sensibilizzazione verso un interessamento e un controllo sulla cosa pubblica. Finché ciò che riteniamo appartenerci finisce sulla soglia di casa nostra, le frodi allo stato e alle cose comuni non ci indignano a sufficienza. Chissà  se molti di noi, al loro posto, farebbero lo stesso?
Per attuare una vera ribellione contro chi ci governa (dall'amministratore di condominio al presidente del consiglio), dovremmo prima ribellarci contro noi stessi che permettiamo questi abusi. Non esiste popolo, con un sistema di democrazia che funzioni, che non se lo sia costruito con impegno, fatica, e a volte, purtroppo, anche con il sangue. Ma a proposito di sangue: qualcuno pensa che non andare a votare sia una forma di rivoluzione. Voglio urlare di dolore per questa sciagurata soluzione: è non far più affluire sangue nelle arterie della Democrazia.

mercoledì 9 maggio 2012

CONSUMISMO e UTILITARISMO

Consumatori, è l'aggettivo con cui veniamo chiamati noi cittadini in questa società che fagocita e mal digerisce tutto ciò che il sistema propone e impone. Sia che compriamo un cespo di insalata o un vestito; quando commissioniamo un automobile o un viaggio, veniamo quasi sempre denominati consumatori. Essere definito consumatore di cose o servizi, utili o futili che siano, non mi piace perché mi fa pensare ad una macchina che è stata costruita per distruggere qualcosa; preferisco essere chiamato utilizzatore: questo termine, invece, mi dice che di qualcosa sono il beneficiario.
Diceva Cartesio nel “ Discorso sul Metodo” che, per capire la dinamica delle cose, bisogna penetrare nell'intimità di esse. Per poter comunicare meglio e con chiarezza il motivo per cui vorrei che in molti casi venisse sostituito il vocabolo consumatore con quello di utilizzatore, ho dovuto consultare alcuni dizionari della lingua italiana, cercando anche i sinonimi e i contrari delle due parole. Osservandoli col metodo cartesiano , si scoprono aspetti sorprendenti.
                                                     CONSUMISMO
Consumismo, Dizionario enciclopedico Le Lettere:  Tendenza, favorita dalla pubblicità, al soddisfacimento di bisogni non essenziali, tipica della «civiltà dei consumi».
 Wikipedia: consumismo è un termine usato per descrivere gli effetti dell'identificazione della felicità personale con l'acquisto, il possesso e il consumo continuo di beni materiali, generalmente favorito dall'eccessiva pubblicità. È associato spesso con le critiche al consumo a partire Karl Marx e Thomas Veblen.
Enciclopedia Larousse, consumismo: Tendenza, tipica della società moderna e sostenuta dalla pubblicità, al consumo veloce di beni e servizi.
Sinonimi di consumare: affaticare, buttare, corrodere, erodere, dilapidare, degradarsi, rovinarsi, diminuire, disperdere, esaurire, finire, impoverire, indebolire, logorare, rosicchiare, scaricare, scialacquare, sperperare, spossare, sprecare, distruggere, tormentare, travagliare, passare, sciupare, assorbire, bruciare, dissipare, usurare, spendere, consumarsi, guastarsi, sfiancare, stremare, stressare, depauperare, immiserire, debilitare, nuocere, deteriorare, estenuare, snervare, svigorire, rovinare, scassare... 
Contrari: aumentare, conservare, mantenere, razionare, ricaricare, risparmiare, serbare, rimpinguare, rimpolpare, ingrassare, far durare, dosare, misurare, accantonare, accumulare, custodire...
                                                           UTILITARISMO 
Dizionario enciclopedico Le Lettere, utilitarismo: Termine coniato nel 1861 da Stuart Mill per indicare una dottrina filosofica che considera come supremo principio morale l'utilità non identificata nel benessere del singolo, ma nel maggior benessere di tutti... 
Wikipedia, utilitarismo (dal latino utilis, utile) è una dottrina filosofica di natura etica per la quale è “bene”(o giusto) ciò che aumenta la felicità degli esseri sensibili. Si definisce perciò utilità la misura della felicità di un essere sensibile.
Enciclopedia Larousse, utilitarismo: Sistema filosofico che pone l'interesse particolare o generale come fine di tutte le azioni.
Sinonimi di utilizzare: adoperare, usufruire, servirsi, impiegare, valersi, avvalersi..., Contrari: Perdere, buttar via, dissipare, gettare al vento, gettare dalla finestra, rovinare, sciupare,sprecare, ammassare, incettare... 

Mi sembra troppo palese che io, se consumatore, compio un'azione negativa: mi affatico, butto, corrodo, dilapido, rovino, distruggo...; mentre, se utilizzatore, compio un'azione di significato positivo: adopero, usufruisco, mi servo, mi avvalgo...
Leggendo il significato, i sinonimi e contrari dei due termini si è rafforzata la mia convinzione che il vocabolo consumatore dovrebbe essere usato soltanto in casi che rispecchino il suo senso negativo; al contrario, trovo che il termine più appropriato e corretto sia utilizzatore, perché fa emergere che, dal bisogno di nutrirsi, vestirsi, divertirsi..., si trae godimento per l'esistenza, e non sofferenza per l'azione che evoca il distruggere, corrodere, dilapidare, nuocere, rovinare...
Se, come recitano alcuni dizionari sul consumismo, il possesso e il consumo continuo di beni materiali o consumare molto e veloce, produce nel tempo senso di insoddisfazione e non porta benessere collettivo, ma al contrario aumenta il malessere generale, vuol dire che c'è qualcosa da rivedere nei nostri comportamenti consumistici. Forse dovremmo ritornare a essere utilizzatori di beni e servizi e non distruttori di essi.

mercoledì 21 marzo 2012

IMPARARE A CONSUMARE I RIFIUTI



         PER RIFIUTARE LA SOCIETÀ DEI CONSUMI,
         DOBBIAMO IMPARARE A CONSUMARE I RIFIUTI.


Gli anni del boom economico hanno fatto sognare, non solo ai ricchi, ma anche ai poveri, un futuro che sarebbe somigliato ad una lunga festa. E in realtà la festa c'è stata, anche se non proprio per tutti. Ma, come può capitare nell'allegria collettiva, qualcuno dai festeggiamenti ne esce poco sobrio; è necessario, dopo l'eccitazione e il giubilo, un abbondante periodo di riposo fisico e mentale per rimettersi in sesto. 
Quando l'ubriacatura, però, colpisce un intero popolo, non basta solo un periodo di riposo: bisogna ripulire l'intero Paese dai rifiuti che la festa ha prodotto. Insomma, bisogna ricominciare a credere in un altro sogno: dopo l'esperienza negativa, puntare ad una società più equilibrata, magari più povera materialmente, ma con un indice più alto di soddisfazione. Cosa non facile da attuare, perché con la pancia piena e la mente offuscata dai festeggiamenti rimane difficile persino sognare.
Questo è quello che ci ha lasciato il boom economico: Un popolo “ubriaco” di un illusorio benessere, che fa fatica a ripulirsi dagli “escrementi della festa”. La gioia, l'allegria e le promesse del benessere per tutti ci hanno trascinati dalla millenaria logica dell'usa e riusa finché è utilizzabile, a quella dell'usa, getta e ricompra. 
Questo sistema ci ha abituati a consumare il necessario, l'utile, l'inutile , il superfluo e persino il dannoso; sistema giustificato dall'industria e dalla politica (purtroppo condiviso anche da noi tutti), necessario ( dicevano) per mantenere posti di lavoro.
Questa logica non solo non ha mantenuto i posti di lavoro, ma ha trasformato l'uomo da beneficiario dei frutti del proprio lavoro, a strumento per accrescere i consumi. In altre parole, abbiamo costruito un sistema che, mettendo il solo profitto come supremo scopo, ha trasformato l'essere umano a servitore e macchina per produrre e consumare; inserendolo come un ingranaggio in un sistema che lo degrada, impietosamente, da fine a mezzo.
Questo decadimento non ha colpito solo chi produce, ma l'intera società, compreso coloro che il sistema lo hanno pensato, progettato e attuato.
A parte qualche inebriato di danaro, che non si accorge nemmeno in quale angolo della terra vive, tutti noi altri stiamo vivendo una specie di “sindrome dell'infelicità”, che sarà molto lunga da curare.
Una società che persevera su questa strada, farà la fine di un'automobile che, se pur di poco, aumentando in modo costante la velocità di marcia, non può che andarsi a schiantare: è solo questione di tempo. E come se un cuoco in mancanza di materie prime, per non rinunciare al guadagno, arrivasse a cucinare una parte del proprio corpo.
Per poter cambiare questo modo di vivere, è necessario operare dei cambiamenti sostanziali. Il primo passo è quello di essere consapevoli che non è possibile continuare a produrre per un consumismo insostenibile; poi, capire che è impossibile rovesciare in poco tempo un sistema così radicato. Quello che è possibile fare subito è convincerci di voler invertire questa tendenza. Per cominciare è necessario imparare e, dove è possibile, insegnarlo ad altri, a consumare anche materie e oggetti ancora in buono stato, riutilizzabili o riconvertibili ad altro uso; in poche parole prima di poter rifiutare la società dei consumi dobbiamo imparare a consumare rifiuti.

Penso che dovremmo convertire una parte delle nostre fatiche, non più per beni materiali ma per un “sorriso in più”; un sorriso che non duri giusto il tempo di scartare un nuovo costoso e inutile oggetto che finirà, insieme a tanti altri, in soffitta o in discarica; un sorriso che ci porteremo con noi e per noi per lungo tempo, con il fine di contagiare altri.

Questo articolo, che apparirà anche su un altro mio blog: http:/artedelriutilizzo.blogspot.it/ è,  la presentazione di un lavoro che pubblicherò prossimamente (che forse diventerà anche un libro) , dove dimostro, con foto e descrizione le cose realizzate con materiali raccolti in discarica; spiegando come si possono riutilizzare moltissime delle cose che attualmente si buttano; e come si può convertire manodopera in attività molto più creative di una spersonalizzante, e spesso alienante, catena di montaggio.
                                                                                                   Francesco Corradino

mercoledì 21 dicembre 2011

QUALCHE GOCCIA DI LUCE


     In questi giorni, per manifestare la più grande festa religiosa del Paese, quasi tutte le case ( dentro o fuori), brillano di festoni con mille ritmi che, visti nell'insieme, danno l'idea di avere un direttore che ne dirige il sincronismo.
Personalmente penso che ci sia molta festa e poca religiosità. Ma, come ripeteva spesso uno dei personaggi del mio primo romanzo, “le cose non sono sempre come sembrano” e, anche se la festa non è solo espressione di religiosità, lo stesso produce qualcosa di straordinario che può definirsi “miracolo”, cioè cosa meravigliosa, da mirare.

    É veramente emozionante pensare che ognuno ( piccola goccia), può contribuire a rendere la festa più “luminosa”, agendo in modo autonomo sul pensiero comune di augurare ad amici, parenti, semplici conoscenti e passanti, l'augurio di buone feste, con la semplice esposizione di una luminaria.
Penso che il “miracolo” stia nell'idea; cioè nel potere che ogni individuo ha di produrre con la propria, piccola, piccolissima energia, una sinergia più grande convergente in un unico fine comune, capace di agire per toccare qualcos'altro: l'animo umano.

   Questa breve premessa non soltanto per fare a tutti un augurio di buon Natale ( come molti sanno, nel mio credo non c'è Cristo come figlio di Dio), ma per esaltare il miracolo dell'idea di Cristo, condivisa da credenti e non credenti: unire milioni di esseri in un unico progetto di pace e fratellanza, cosa di cui in questo momento storico abbiamo proprio bisogno.
Questo è ciò che voglio augurare ad amici, parenti, conoscenti e semplici passanti, oltre che: Buone feste!

Francesco Corradino

giovedì 23 giugno 2011

L'ACQUA LIBERA COME L'ARIA, SOGNO O UTOPIA?

Un mio grande sogno si realizzerà quando tutti gli esseri umani potranno dissetarsi liberamente ad una fonte libera. Quando in ogni angolo della terra abitata ci saranno fontane con acqua potabile, dove tutti, anche senza danaro in tasca, si potranno dissetare ed attingere acqua per i bisogni essenziali.
Sono consapevole che la mia può sembrare utopia. Ma la storia ci insegna che lo era anche quella di tanti altri “utopistici sognatori”: tutti coloro che, col tempo e con l'aiuto di altri , hanno elaborato e realizzato cose che sembravano impossibili portare a termine; coloro che credendo alle loro “utopie” hanno dato un contributo alla crescita e alla realizzazione del così detto mondo civilizzato. Un mondo irrefutabilmente avanzato in arte, tecnologia e ricchezza, ma iniquo in quello che i Francesi, con la Rivoluzione, misero al primo posto nelle basi della Costituzione: Égalité.
  
Se nella parola utopia, facciamo cadere l'accento sulla o , diventa: “La città perfetta” dell'umanista Tommaso Moro, oggi venerato come santo anche dalla Chiesa Cattolica. Tommaso Moro inventò il termine utòpia, con cui chiamò un'immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, appunto "L'utopia”. Un posto dove un mondo migliore è possibile, anche se laborioso da realizzare. In un'altra epoca (intorno al 380 a.c. ), Platone nei suoi scritti “La Repubblica”, idealizzava un mondo più giusto possibile, se tutto ruotasse su due perni fondamentali: la legalità e la giustizia.
Alcuni paesi della nostra penisola, che per molta parte dei suoi confini sprofonda nell'acqua e spesso dall'acqua alcune zone vengono trascinate a valle dalle alluvioni, soffrono la mancanza di questo elemento fondamentale per l'utilizzo quotidiano; arrivando a penose situazioni, dove l'erogazione di acqua (nemmeno potabile) avviene due, tre volte alla settimana per poche ore.
Mi rimane difficile definire civiltà una società che priva qualcuno di un bene così indispensabile alla vita, peraltro molto abbondante sulla Terra.
Dato che buona parte del mio reddito viene trattenuto come tasse, delle quali una parte serve a pagare gli stipendi di chi dovrebbe, ma non sempre mi assicura la fruizione dei miei diritti; con un pizzico di ironia mista a rabbia potrei domandarmi: « Chi mi priva di questo bene, attenta alla sicurezza della mia vita? ».
Per realizzare questa “utopia”, secondo me, non serve privarsi né dell'utile né dell'inutile. Basterebbe solo destinare all'acqua una parte di quello che si spreca per il superfluo, spacciato per utile, di cui buona parte dei popoli occidentali fa largamente uso. O, comunque, applicare un pensiero di Tommaso Moro che recita: “Non tutto quello che è utile è giusto”.
Pretendere che il poter bere acqua venga collocato, nella scala dei valori, al pari del poter respirare aria, sarebbe dovere di tutti i cittadini, perché sono due elementi entrambi indispensabili per il diritto alla vita.
                                                                                   Francesco Corradino